Ludopatia: dal gioco alla patologia

Capire come sia possibile passare da una innocente giocata allo sviluppo della ludopatia è fondamentale, perché questo genere di conoscenza è uno degli elementi grazie ai quali possiamo evitare il problema o cominciare ad affrontarlo.

 

La questione è il controllo

Il problema comincia quando la persona non riesce a controllare il proprio comportamento a fronte del desiderio di giocare. La caratteristica fondamentale della ludopatia è infatti la perdita di controllo della persona sulla quantità di tempo e denaro investiti nel gioco, perdita di controllo che danneggia seriamente la qualità della vita della persona in uno o più ambiti di funzionamento (sociale, economico, lavorativo, affettivo, ecc.).

Spesso le persone che sono scivolate nel problema della ludopatia non riescono a spiegarsi come sia stato possibile caderci. Parte della spiegazione è dovuta al fatto che il desiderio di giocare si innesta con dei meccanismi associativi per lo più automatici, di cui normalmente non si ha molta consapevolezza. 

 

Le conseguenze del comportamento generano il problema

Tutto comincia quando si vince. Quando vinciamo denaro a seguito di una giocata, oltre al denaro otteniamo anche di provare una scarica emotiva molto appagante; quando si verifica questa scarica di piacere, il nostro sistema nervoso è “programmato” per registrare gli elementi che hanno preceduto e/o che sono stati associati a questo appagamento.

Questo è lo stesso meccanismo per il quale proviamo di nuovo delle emozioni rivedendo i luoghi in cui le abbiamo provate la prima volta (dal luogo del primo bacio, all’incrocio in cui abbiamo avuto quel brutto incidente d’auto), ed è un antico meccanismo automatico che ci serve per “ricordare” con più efficacia luoghi e situazioni legati a pericoli o a situazioni benefiche, in modo da evitarli o ritrovarli con maggiore probabilità in futuro.

Non basta vincere una volta perché si realizzi questa associazione, ma se avviene un numero sufficiente di volte, il desiderio di giocare si manifesterà in modo automatico ogni volta che la persona entrerà in contatto quei segnali associati a quella scarica di piacere derivante dalla vincita. Questi segnali inizialmente possono essere del tutto sensoriali, come l’odore del bar in cui abbiamo giocato, le luci, il rumore delle monete che cadono.

Così la voglia di “fare una partita” ci coglie appena mettiamo piede in quel bar. Col tempo, questa capacità di attivare il desiderio di giocare si può allargare anche agli stati emotivi, se questi in qualche occasione hanno preceduto le giocate: se ci siamo messi di fronte al videopoker o al tavolo verde perché provavamo tristezza, preoccupazione, ansia, solitudine, giocando siamo riusciti a scacciare temporaneamente queste emozioni avversive distogliendo la nostra attenzione, generando così nuovamente un effetto “di piacere” (in termini tecnici, questo è un rinforzo negativo: il comportamento di giocare è “premiato” dalla rimozione di uno stimolo spiacevole).

Una prigione di emozioni

In questo modo le nostre stesse emozioni, quelle che abbiamo imparato a soffocare “giocandoci sopra”, quando insorgono per i più svariati motivi diventano il segnale che fa tornare la voglia di giocare.

Questa voglia di giocare, che al livello neurologico è del tutto analoga al craving associato alla dipendenza da sostanze (in inglese craving significa “desiderio”, “voglia di”) è il principale nemico col quale si trova a lottare la persona colpita da ludopatia.

Tuttavia, quello che crea il problema non è il desiderio di sedersi di nuovo di fronte al videopoker, ma è l’incapacità della persona di rispondere a questo desiderio in modo da preservare la propria qualità di vita. I percorsi di psicoterapia cognitivo comportamentale affrontano questo problema, restituendo alla persona la capacità di controllare il proprio comportamento. 

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