Contaminazioni, pulizia e rituali

Pulizia: un concetto pratico

La pulizia è un concetto relativo. Per un meccanico che sta smontando un motore le mani possono essere pulite quando non lasciano macchie di unto sulle fatture dell’ufficio; ma di certo con quelle stesse mani non potrebbe aiutare sua moglie a piegare le lenzuola pulite; oppure, le stesse mani con le quali ci possiamo sentire di maneggiare il cibo in completa fiducia potrebbero essere veicolo di gravi contaminazioni in una sala operatoria.

A seconda delle esperienze che hanno vissuto, le persone mostrano risposte molto diverse all’esposizione a quelli che potrebbero essere considerati agenti contaminanti. In generale, un allevatore di cavalli, un meccanico, un cuoco e un chirurgo avranno quattro diverse definizioni di un ambiente di lavoro “pulito”.

C’è chi evita del tutto i bagni pubblici anche a costo di grossi disagi, chi si sente a disagio se non si lava le mani ad intervalli di tempo regolari, chi evita il contatto con gli animali o i mezzi pubblici. E poi c’è chi senza pensare mangia il panino con la stessa mano con la quale ha accarezzato il proprio cane cinque minuti prima (con orrore di quello che si lava le mani ogni dieci minuti).

 

L'importanza del contesto

Ricordiamoci sempre che nell’ambito della psicologia non esiste niente di giusto o sbagliato in assoluto, perché quello al quale si guarda è la relazione tra un comportamento e il contesto in cui avviene. Questo significa che non c’è un modo “giusto” in senso assoluto di rapportarsi con il tema dello sporco e della contaminazione. Per stabilire un metro di giudizio dobbiamo chiederci cosa dobbiamo fare, quello che vogliamo ottenere; dobbiamo darci un criterio concreto, perché altrimenti si rischia di divenire preda di pensieri e paure.

Avere un criterio operativo di pulizia è necessario perché spesso parliamo di qualcosa che non riusciamo a percepire direttamente: alla vista, una mano che ha appena toccato il sacco della spazzatura non si distingue da una che è appena stata lavata con cura. Per questa ragione abbiamo stabilito delle procedure basate sull’esperienza, diverse a seconda del nostro scopo: per maneggiare il cibo lavarsi le mani col sapone è più che sufficiente, ma per una sala operatoria serve una vera e propria disinfezione con prodotti specifici.

 

Sentirsi puliti o essere puliti? L'origine dei rituali

Purtroppo a volte accade che le persone comincino a lavarsi (parti del corpo o interamente) non più per poter fare qualcosa, ma per “sentirsi puliti”. Il problema qui è che “sentirsi puliti” dipende da un pensiero (che può essere evocato da determinati stimoli quali ad esempio l’odore del detergente) che a sua volta può essere influenzato da fattori che con la pulizia non c’entrano più niente.
In questo modo qualcuno può arrivare a “sentirsi pulito” solo se si lava un certo numero di volte, in un certo ordine, o usando certe sequenze movimenti che non possono essere interrotte o sbagliate, altrimenti la sensazione di pulizia non arriva.

Ecco spiegato come si creano i rituali di pulizia: si cerca di raggiungere una sensazione di pulizia che non rimane mai per molto. Nel momento in cui i rituali e la paura di contaminarsi espongono la persona a dei problemi, è il momento di occuparsene rivolgendosi ad uno psicologo psicoterapeuta. Arrivare tardi al lavoro o alzarsi tre o quattro ore prima per compiere la pulizia nel modo “giusto”, evitare continuamente luoghi o situazioni in cui ci si potrebbe contaminare, sono tutti comportamenti potenzialmente molto lesivi della qualità di vita. In questi casi un percorso di psicoterapia può fare la differenza, perché lo psicologo psicoterapeuta è la figura preposta ad affrontare e risolvere il problema.