Aritmetica e tramonti

La nostra mente è fatta per risolvere problemi. Un problema è qualcosa che, per definizione, ha una soluzione, come un esercizio di aritmetica. Un guasto alla macchina, tre centimetri di troppo del nuovo mobile della cucina, trovare un nuovo impiego, sono tutte situazioni che ci impegnano in un modo peculiare: dobbiamo usare le nostre energie per cercare di liberarci dal problema. La soluzione è quella che risolve il problema, che di fatto lo elimina e ci consente di badare ad altro. Noi esseri umani siamo bravissimi a risolvere problemi, e grazie a questo moltissime conquiste sono state compiute in tutti i campi del sapere e del fare. 

Tuttavia ci sono cose, fatti, situazioni che ci spingono ad assumere una postura completamente diversa da questa. Provate ad immaginare di trovarvi di fronte ad un magnifico tramonto, il più bello che abbiate mai visto. La luce che lentamente cambia, le ombre che fanno capolino,l’aria fresca che vi accarezza il volto, il profumo dell’aria. In quel momento siete completamente assorbiti da quel tramonto, lo osservate per quello che è, e qualunque cosa vediate va bene, perché fa sempre parte di quel tramonto. Non c’è nulla da risolvere, non c’è nulla che possiate o vogliate fare per cambiare quello che c’è.

Quella appena descritta è un’esperienza che tutti nella vita hanno fatto: forse non con un tramonto, ma forse guardando le onde del mare, o di fronte al fuoco del camino, o guardando un’opera d’arte, oppure ascoltando musica o gustando una pietanza, o magari tenendo in braccio un bambino.

Il fatto importante è che voi in quel momento siete completamente presenti a quello che c’è con voi, la vostra attenzione ne è assorbita ma stavolta non c’è nulla da “risolvere”.

Questi due atteggiamenti sono entrambi parte fondamentale dell’esperienza e dell’agire umano, e nessuno dei due è giusto o sbagliato in sé. Tuttavia ci sono contesti in cui adottare l’uno o l’altro può fare un’enorme differenza sulle conseguenze alle quali andremo incontro.

Se state attraversando la strada e vi accorgete che un camion procede verso di voi senza dar segno di rallentare, avete un problema da risolvere. Se vi soffermate a contemplare i riflessi di luce sulla carrozzeria del mezzo che vi sta per investire, probabilmente non vivrete abbastanza per raccontarlo. In questo caso la soluzione c’è, ed è: correre.

Al contrario, ci sono contesti in cui cercare una soluzione non solo non è utile, ma diventa il vero problema. Alcune esperienze dolorose fanno inevitabilmente parte della condizione umana: lutti, delusioni, insuccessi, preoccupazioni. Ciascuno a modo suo, ma tutti nella vita prima o poi abbiamo dovuto bere da quei calici amari. In questo non c’è nulla di sbagliato. Il problema è quando le persone cominciano a vedere la cosa come un problema da risolvere, cercandone quindi la soluzione. E la soluzione sarebbe smettere di sentire quel dolore, quel senso di frustrazione o di paura: e qui cominciano i guai. Perché per evitare di sentire queste emozioni, si comincia ad evitare di vivere. Ci si stordisce con alcol o sostanze, oppure ci si ripara dal mondo smettendo di uscire e di vedere gente, oppure si soffoca il senso di delusione gettandosi in relazioni disastrose che portano ad altra delusione.

Quello appena descritto è un processo che si chiama evitamento esperienziale: succede ogni volta che vi date da fare per non sentire le emozioni spiacevoli. É riconosciuto dalla ricerca che proprio l’evitamento esperienziale è alla base di numerosi problemi psicologici quali disturbi d’ansiadisturbo di panicodepressione, solo per citarne alcuni.

I nostri vissuti dolorosi hanno bisogno di essere contemplati come un tramonto, non risolti come un problema di aritmetica.

Argomenti Correlati