La non lotta
La sofferenza è una caratteristica comune a tutti gli esseri umani: seppur in modi e tempi diversi, ciascuno prima o poi ne è toccato, e questo mette le persone su un piano di parità e di comune esperienza. Quindi la sola sofferenza, per quanto possa essere grande, non può bastare a fare di una persona una persona “malata”. Moltissime persone quotidianamente affrontano ansia, senso di depressione, solitudine, paura, dolore cronico (e molto altro) andando comunque avanti nella loro vita, continuando a dedicarsi a ciò che reputano più importante per loro. Quello che fanno di speciale queste persone è di non aspettare che la sofferenza passi, per fare quello che vogliono della loro vita. Invece dedicano le loro energie a costruire qualcosa che per loro è desiderabile.
Questo, in essenza, è la non lotta o accettazione: smettere di combattere contro ciò che non può essere cambiato, cessare la lotta contro quella quota di sofferenza che inevitabilmente ci spetta in quanto esseri umani, e andare avanti.
Invece succede che, proprio in nome di questa lotta, si arrivi ad aggiungere dolore al dolore. Le persone mettono in sospeso la propria vita per combattere contro le proprie emozioni, le proprie sensazioni, i propri pensieri, accettando di riprendere a vivere solo quando questa guerra sarà definitivamente vinta.
Dalla tradizione scientifica questo processo psicologico è conosciuto con il nome di “evitamento esperienziale”, ed è stato riconosciuto all’origine di molti disturbi psicologici classificati. Unattacco di panico, o una grande ansia diventano problemi solo se la persona comincia a modificare la propria vita pur di non sperimentarli più. La depressione diventa patologia solo quando, aspettando di sentirsi meglio, la persona smette di fare le cose che ama, smette di dedicarsi a se stessa e di partecipare alla vita. La paura diventa fobia solo se blocca la vostra vita, non prima. E gli esempi potrebbero andare avanti a lungo.
La realtà è che la sofferenza non può bloccare le nostre azioni; al contrario, siamo noi che le blocchiamo in nome di questa. Praticare la non lotta significa non essere più ostaggi di una guerra interiore senza fine, e scoprire che siamo comunque liberi di dirigerci dove vogliamo.